Trasferimento post su altro blog

La mia attività su questo Blog si ferma qui. Quello che c’era da dire e da fare per evitare la deriva reazionaria del Movimento 5 Stelle è stato detto ed è stato fatto. Ora i miei commenti e post saranno pubblicati in:

http://visioniinmovimento.wordpress.com

 

Categorie:Informazione

Riserva aurifera, riserva di chi?

oroL’oro è un metallo prezioso ed esteticamente piacevole.

Poi fu usato come valore economico di potere concentrato.
Chi ne possedeva di più decise che quello doveva essere il controvalore alla carta moneta.
Quando il potere fu fine a se stesso questo controvalore perse significato.
Poi nacque la moneta elettronica …

Nel precedente articolo si è parlato della Banca d’Italia http://movimento5stelleorvieto.com/2013/11/16/banca-ditalia-banca-di-chi/  ora parliamo di oro e di riserve. Stando all’ultima relazione di bilancio della Banca d’Italia (delle banche private) possiamo constatare che le riserve aurifere del nostro paese ammontano a 2.452 tonnellate. Tradotto in euro stiamo parlando di 109 miliardi. Un po’ pochini … pensavamo di più? Eppure siamo il terzo paese al mondo con più riserve aurifere dopo gli Stati Uniti e la Germania (quarti se consideriamo anche le riserve del FMI). Ora a parte la collocazione fisica di quest’oro che una volta si vuole sia in America un’altra presso la BCE, e si finisce per perdersi in una autentica caccia al tesoro, il grosso (due terzi) sembra essere nel forziere di Palazzo Koch a Roma (sede storica della Banca d’Italia).

La classifica mondiale è questa:

1) USA 8.133,5
2) Gemania 3.396,3
3) Italia 2.451,8
4) Francia 2.435,4
5) Cina 1.054,1
6) Svizzera 1.040,1
7) Russia 883,3
8) Giappone 765,2
9) Paesi Bassi 612,5
10) India 557,7

Suona strano apprendere che l’Italia, a rischio default, sia tra i primi paesi detentori di riserve aurifere che, a quanto credono gli italiani, sono la garanzia della moneta emessa. E suona ancor più strano apprendere che il Sud Africa non sia presente in questa classifica nonostante le sue miniere abbiano sfornato i due terzi dell’oro presenti sul pianeta. Ma di stranezze nel corso di questa trattazione ne vedremo parecchie.

Un’altra favoletta da sfatare è quella che vuol far credere, per chi ci crede, che le nostre riserve aurifere siano state tutte conferite alla BCE in occasione dell’entrata nell’euro. Falso in quanto le singole banche nazionali (o quel che ne rimaneva di nazionale) hanno effettuato un conferimento in garanzia pro-quota e per l’Italia questo ha pesato una sessantina di tonnellate. L’Italia (o più precisamente la Banca Privata d’Italia) con il suo mucchietto di metallo (questo si dell’Italia) ha contribuito per il 12% alla formazione del capitale BCE. Ora tonnellata in più o tonnellata in meno resta da capire di chi siano le tonnellate rimanenti se dello Stato Italiano (Popolo Italiano) o della Banca d’Italia visto che il valore del bottino figura all’attivo del suo stato patrimoniale. La domanda è lecita visto che anche il serafico Tremonti nel 2009 pensò di tassare le plusvalenze della Banca d’Italia prodotte dalla riserva aurea alla quale rispose Jean Claude Trichet, allora presidente della BCE, sollevando dei dubbi se quell’oro fosse dalla Banca o del Popolo Italiano? Non lo sapevano o non si sentivano ancora pronti al grande scippo?

Di fatto ci troviamo in una intrigata situazione che neanche gli intrigatori riescono a risolvere. Siamo sempre lì in quel maledetto 1981 e in quel pasticcio della privatizzazione delle banche che nel caso della Banca d’Italia non doveva essere concessa se non dopo alcune e doverose contromisure al fine del rispetto degli artt. 1 e 2 dello statuto e dopo aver diversamente risolto il bottino patrimoniale oro incluso.
Ma non fu così e ora ci ritroviamo con una Banca ancora dichiarata di diritto pubblico ma che in realtà è totalmente privata e a cui a termini di legge appartiene oltre al suo capitale anche il suo patrimonio, immobili, e preziose collezioni d’arte e di monete comprese. In questo che fine fanno le riserve auree e valutarie visto che la legge e lo Statuto nulla dicono?

In tutto questo ricomincia la corsa all’oro e tra questi la più assetata d’oro sembra la Cina che ne sta comprando a più non posso tanto da far girare un’altra favoletta che vuole la Cina dietro ad ogni boteguccia dei ComproOro. Lo scorso anno la Cina ha acquistato circa 70 tonnellate d’oro oltre a riprendere l’attività estrattiva come stanno facendo Nord America, Russia e Sud Africa al ritmo di 200 tonnellate l’anno.

A che servirà tutto quest’oro?

Alcuni complottisti da quattro soldi pensano che addirittura dietro alla richiesta di rimpatrio delle riserve aurifere del Venezuela richieste con urgenza da Hugo Chavez all’FMI sia l’origine del furto di oro alla Libia come bottino di guerra da parte degli stati che non ne avevano più da ridare al legittimo richiedente.

Sono delle ultime ore le pressioni esercitate sull’Italia per cedere la sua riserva ma prima di questo no che dovrà essere necessariamente dato va risolta una volta per tutte la proprietà di quell’oro. Risolvendo questo si risolverà anche il tremendo intrigo che è dietro la privatizzazione delle banche ridando allo Stato quel che allo Stato è stato tolto.

Ma ritornando all’oro sembra che il totale delle riserve mondiali non superi le 200.000 tonnellate mentre, di contro, l’equivalente in oro di tutta la moneta circolante si aggira intorno ai 75.000.000 di tonnellate. Manca qualche lingotto all’appello!

Quindi queste banche creano il denaro dal nulla? e ci chiedono anche gli interessi sopra causando le crisi economiche e sociali?

Mi sembra evidente che non ci sia nessun controvalore in oro e che la corsa che stanno facendo alcuni stati per impossessarsene sia un tentativo, che gli riuscirà, per smascherare definitivamente questa pagliacciata. E allora saranno guai seri …

Ma prima di chiudere un anteprima alla prossima divulgazione:

Cos’è la BCE?

Azionariato:

Banca Nazionale del Belgio (2,83%)
Banca centrale del Lussemburgo (0,17%)
Banca Nazionale della Danimarca (1,72%)
Banca d’Olanda (4,43%)
Banca Nazionale della Germania (23,40%)
Banca nazionale d’Austria (2,30%)
Banca della Grecia (2,16%)
Banca del Portogallo (2,01%)
Banca della Spagna (8,78%)
Banca di Finlandia (1,43%)
Banca della Francia (16,52%)
Banca Centrale di Svezia (2,66%)
Banca Centrale d’Irlanda (1,03%)
Banca d’Inghilterra (15,98%) (Non ha l’euro)
Banca d’Italia (14,57%)

Non sono stati nè Popoli Sovrani … sono tutte banche private!

(massimo maggi)

Dove è il problema?

forza oscuraDal locale all’interplanetario ogni amministratore dice di essere nel giusto e di agire secondo coerenza e coscienza. Ma lo sappiamo il buon senso non manca mai a nessuno e nessuno vorrebbe averne né di più né di meno di quello che ha già. Le falde acquifere non sono inquinate e i livelli ‘a norma’, anche se di volta in volta modificati, stanno lì ad indicarcelo. Le discariche non inquinano ed anche qui recenti studi ministeriali e scientifici pagati dallo stesso ministero e dai gestori delle discariche ce lo confermano. Taranto, ed a breve Terni, hanno un’aria respirabilissima e le morti di cancro non dipendono dalla produzione ed emissione di agenti inquinanti. Il patto di stabilità è fichissimo e a Letta piace; che non piaccia a nessun altro non ha importanza poiché a Letta è stata data la fiducia. Il Ministro di Grazia e Giustizia ha agito secondo coscienza ed amicizia, sentimento cardine di ogni umanoide, e non volesse Dio che questi sentimenti abbiamo a scomparire. I vari gossip giornalistici di questo o quell’altro scandaluccio di mazzette e tangenti sono pura fantasia e comunque chi li produce, attori o oratori, lo fanno nel rispetto dell’ordine deontologico. Berlusconi è innocente nonostante il terzo grado di giudizio ed io mi fido di lui perché lo ha giurato sui suoi figli e perché, a dispetto del gossip, è ancora seduto in Senato e perché il suo elettorato lo ama. Il reddito di cittadinanza non lo possiamo sopportare perché, dice Fascina, ci costerebbe oltre 30 miliardi e questi 30 miliardi, dico io, dovrebbero essere sottratti dalle tasche di chi ne ha fatto un diritto acquisito. La luce in fondo al tunnel si accende e si spegne soltanto perché ci avviciniamo al Natale e non per utopie marxiste di qualche capellone sfigato.  Il Ponte sullo stretto s’ha da fa e la Tav porterà lavoro e suspence sulle curve. Gli Emirati Arabi ordinano una quantità industriale di Boing e questo avrà effetti salvifici sull’intero ecosistema, Italia inclusa. La procura non ravvisa nessuna anomalia ed il Capo dello Stato non sente la necessità di incatenarsi simbolicamente in piazza perché non c’è nulla che non và. Nei tribunali c’è scritto ‘ La legge è uguale per tutti’ e tanto basta. Tutti, dico tutti, hanno un’immenso buon senso e nessuno è un criminale o, quantomeno, un idiota. Da chi ha giurato sulla Costituzione a chi glia ha dato mandato di giurarci in suo nome.

Eppure questo sistema sembra implodere di giorno in giorno, eppure le aziende chiudono e licenziano, eppure qualcuno specula finanziariamente sulla vita o la morte della sua stessa specie … Chiediamo allora  a Papa Francesco di riferire urgentemente in Parlamento per chiarirci una volta per tutte qual è la forza oscura che vuole la distruzione della nostra specie a dispetto della buona volontà di tutti gli esseri viventi, politici o umile popolo, broker di borsa o residuo di classe operaia.

(massimo maggi)

L’ imbecille analisi economica.

grillo-euroE anche questa l’ha detta, suggerita o no, compresa o no, non ha più importanza. Chiunque può dire le sue stupidaggini, anche Grillo. Anche lui può avere idee liberiste e liberticide, chi glie lo nega. Quel che dispiace è che tante brave persone, preparate, volenterose e competenti hanno perso il loro tempo sotto un cappello ormai insopportabile. Mi riferisco a gruppi di lavoro formatesi in tutta Italia per cercare pragmaticamente di dare supporto ad una squadra a 5 stelle assai confusa. Dalle piazze e dai post scriptum del blog se ne sono sentite di tutti i colori dicendo tutto ed il contrario di tutto. Si è passati con nonchalance da Benettazzo a Bagnai, da Casaleggio a Mosler … solo per citarne alcuni.  Beppe Grillo rilascia un’intervista a Pete Schneider di Die Zeit asserendo che ‘… Il problema non è più l’euro, il problema è il debito’, ma in altri luoghi dice ‘…ritornare alla lira attraverso una svalutazione del 40-50% anche se non risolverà tutti i problemi economici del Paese, renderà le nostre esportazioni più competitive’. Una peggio dell’altra. Ma il culmine si raggiunge con la sua ultima esternazione ‘ …si devono tassare i consumi per salvare l’economia’. 
Ci dispiace per i 15 deputati che cercavano una soluzione al rebus grilleggio incontrandosi e discutendone con i più illustri economisti indipendenti. I ventriloqui intestinali del gota a 5 stelle hanno passato ogni limite e le sue boiate rischiano di dare credibilità persino ad un Fassina in preda a follie fètiche-europeiste deflazionistiche al cui confronto appare addirittura con una giacchetta meno unta e perfino stirata. La base a 5 stelle cosiddetta ‘attiva’ è scientologicamente d’accordo con qualsiasi boiata venga emessa dall’ormai fraudolenza incontrollata del blog dimenticandosi che fuori dal loro recinto web referenziale ci sono milioni di persone schiacciate ed oppresse dall’eurozona che meritano un’attenzione diversa da sparate a cazzo di cane.
Auguro vivamente a chiunque abbia a cuore il bene del paese di prendere le distanze da tali imbecillità e riprendere le loro elaborazioni e proposte in altro luogo e fuori da non regole ormai ingestibili ed incontrollabili.
(massimo maggi)

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Banca d’Italia, banca di chi?

banca di italiaInnanzi tutto chi è la Banca d’Italia (o Bankitalia come la chiamano i giornali). In origine era la banca centrale della repubblica italiana (1936) ma dal 1998 è parte integrante del sistema europeo (SEBC). Ad oggi le sue quote di capitale sono per il 94,33% in mani private (banche ed assicurazioni) e per il 5,66% in mano Mastopascqua (Inps e Inail). L’attuale governatore è Ignazio Visco nominato il 20 Ottobre 2011 in sostituzione di Mario Draghi con sponsorizzazione del Quirinale.

Le quote azionarie sono così ripartite :
Intesa Sanpaolo S.p.A. 30,3%
UniCredito Italiano S.p.A. 22,1%
Assicurazioni Generali S.p.A. 6,3%
Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. 6,2%
INPS 5,0%
Banca Carige S.p.A. 4,0%
Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. 2,8%
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. 2,5%
Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli S.p.A. 2,1%
Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A. 2,0%

Si avete letto bene lo Stato non c’è più!

Ma prima del 1998 ci fu un atto ancor più grave e sciagurato che ha segnato la fine della nostra sovranità monetaria e nazionale per preparare l’indecente entrata nel sistema monetario affaristico europeo. E’ infatti del 1981 il divorzio tra Banca Centrale e Tesoro nel quale lo stato veniva catapultato nelle sabbie mobili delle banche commerciali e mercati finanziari privati nella gestione del proprio debito pubblico. Gli artefici di questo crimine furono Beniamino Andreatta (Min. Tesoro) e Carlo Azelio Ciampi (all’epoca Governatore della Banca di Italia). Da quel momento in poi i tassi di interesse cominciarono ad essere sempre crescenti e sempre superiori al tasso di inflazione. Il risultato lo stiamo subendo ed è la causa dell’enorme deficit dello stato.
Tanto per fare un esempio nel 1980 (prima del golpetto bancario) lo Stato pagava interessi pari al 16,5% quando l’inflazione era al 21,4% ed il PIL cresceva del 3,5% e, di conseguenza, il debito si riduceva ogni anno del 8,4%. Oggi invece lo Stato paga interessi sul debito per il 4% con un’inflazione al 1,5% e una variazione negativa sul PIL intorno al 2% facendo così aumentare il debito ad un ritmo del 4,5% annuo. Sono veramente degli scienziati, ma del crimine. Di questo passo il debito raddopierà nel giro di 20 anni anche svendendo quel che rimane da svendere inclusa la Sardegna, la Sicilia e le Fosse Ardeatine. Che dire a questo punto dell’esternazione di Letta (21 Aprile 2012) quando ricordando Andreatta disse: “Era uomo di atti, rigore e azione ad esempio sulla necessità di ridurre il debito pubblico soprattutto pensando alle nuove generazioni”. Aveva forse pensato di distruggerle e metterle in mano a banche usuraie? Missione compiuta!

Ora queste generazioni si ritrovano in mani cravattare che prestano soldi a strozzo e non contenti usano trucchetti come la commissione di massimo scoperto.

La commissione di massimo scoperto è una gabella (servizio) che la banca fa pagare ogni volta che il conto va in negativo nel corso del trimestre di riferimento anche per un solo giorno. Questa commissione sommata al tasso di interesse applicato fa si che sul totale generale delle spese sostenute dal correntista la percentuale risultante sconfina dal massimo imposto come tasso di interesse. Esempio: Anche se siamo finiti a -10 mila euro per un solo giorno la commissione di massimo scoperto pari a 2% ,in un trimestre, genera un interesse passivo aggiuntivo annuo (oltre a quello debitore) pari all’8%. (4 trimestri e dunque 4 volte la CMS).Tenendo conto anche del normale interesse debitore applicato (che è di solito appena sotto la soglia usuraria) con al tasso di interesse passivo, che deriva dall’applicazione del CMS, si supera abbondantemente il limite di legge previsto per i tassi usurari.

In assenza di uno Stato, con il suo Tesoro e la sua banca centrale, le banche commerciali risultano essere il mezzo più veloce, e ahimè legale, per far evolvere velocemente una situazione di crisi in una situazione fallimentare. L’anatocismo bancario (ovvero il pagamento degli interessi sugli interessi), la commissione di massimo scoperto (CMS) e le altre infinite gabelle bancarie comportano per il correntista oneri finanziari che a volte superano il 25% annuo. E tutto questo è orchestrato proprio da quelle banche (titolari indiscussi del tesoro italiano) in totale assenza dello Stato Italiano.

Non a caso B. Brecht asseriva che “E’ più criminale fondare una banca che rapinarla.”

(massimo maggi)

 

13 novembre 2013. Il Bilancio come guida.

4-Assemblea-Civica-in-Orvieto.-Intervento-di-Mario-Tiberi.-150x150Il Forum Cittadino entra nel vivo della partecipazione e discussione con i cittadini affrontando il  tema cardine di un futuro governo della Città: Il Bilancio visto come strumento di indirizzo politico in antitesi ad una regola sterile e vuota imposta dall’esterno senza condivisione della cittadinanza. Il 13 Novembre 2013 presso la Sala del Governatore si è discusso di questo con una sempre più ampia partecipazione che ha visto coinvolti ed interessati anche rappresentanti dell’attuale amministrazione. L’intento, impegnativo ma riuscito, era quello di analizzare le parole chiave, reali o alterate, che vengono utilizzate in ottica distrattiva nella trattazione dei temi di bilancio che tendono a complicare la materia per renderla incomprensibile ai cittadini.

Nonostante gli inevitabili riferimenti dettati dall’imminente approvazione del ‘bilancio ragionieristico’ la discussione è non si è allontanata dall’oggetto della convocazione ovvero la concezione ‘altra’ di bilancio che deve essere riportata alla sua funzione originale e nobile ribaltandone totalmente l’attuale impostazione. Il bilancio dunque inteso come programmazione sostenibile di indirizzo politico condiviso e che non escluda, o alieni, quindi il patrimonio e le sapienze cittadine ma ne rendiconti le condizioni di equità  sostenibilità e felicità del comune. Si è discusso della necessità di liberarsi dall’oppressione contabile che perde totalmente di vista la visione della Città. Ai vari interventi sulla correttezza o meno, sulla legalità o meno, delle attuali impostazioni del bilancio si è risposto chiaramente che non basta la precisione ragionieristica e neanche l’onestà dei singoli amministratori poiché anche il più onesto ragioniere contabile, se assurge al ruolo di assessore al bilancio, ruba comunque tempo e futuro alla collettività se non è capace di portare avanti una visione condivisa. In assenza di condivisione qualunque amministratore rischia di confondere il ruolo di guida politica con l’esercizio di curatela fallimentare dei crediti pregressi.

Questa prima discussione si è resa necessaria per gettare le basi al prossimo incontro che verterà sulla trasparenza e partecipazione al bilancio cittadino. Rendere trasparente e virtuosa l’amministrazione non significa ‘tagliare’ semplicemente costi della politica, dei servizi, e tanto meno tagliare posti di lavoro, ma razionalizzarli e collocarli secondo un piano preciso di efficienza, redistribuzione degli oneri e delle ricchezze. Tutto connesso ad una reinvenzione del rapporto compatibile con il territorio e della cosa pubblica. Si vuole pertanto uscire dalla logica dei carrozzoni delle municipalizzate, partecipate o privatizzate, dei consorzi gestiti da burocrazia clientelare politica ed imprenditoria che non hanno altro obiettivo che l’arricchimento privato ed il mantenimento dei privilegi  acquisiti entro una prospettiva di sviluppo indifferente ad ogni altro principio che quello della valorizzazione economica, per altro fallimentare.

Il prossimo incontro del Forum Cittadino si terrà il 20 Novembre 2013. Il luogo e l’orario saranno confermati nei prossimi giorni in conseguenza della indisponibilità della Sala del Governatore.

 

 

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V- Day Preview

duomoCome di consueto Orvieto è in anticipo sui tempi.

Il V-Day si svolgerà qualche giorno prima e questa volta ad essere mandati AFFANCULO saranno, in ordine:

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1)  I MeetUp storici e quelli di ultimo conio anche in autogestione familiare o di quartierino che rivendicano la loro fedeltà ed anzianità come fondante dell’azione sul territorio;

2)  I BimbiMinchia di ogni età, ceto e credenza che confondono una rivolta con la ruota della fortuna;

3)   Lo staff non eletto e non conosciuto, amorfo e burocrate, che con ipocrisia e demagogia rallenta e mistifica i percorsi decisionali e di autodeterminazione dal basso;

4)Grillo e Casaleggio se non si assoceranno a noi in questa importantissima anteprima del V-Day Preview  per il mandamento ai punti 1,2, e 3 sopra elencati.

Ma qual è l’origine di tanto livore ed irriverenza?

Paragonare i territori orvietani, come tante altre realtà locali, che dissentono con spirito critico e costruttivo ad un qualunque Paolini di turno è quanto meno infantile e piuttosto deprimente. Un Movimento nuovo, come qualunque avanguardia che voglia pregiarsi di questo appellativo, non ha paura né della critica né della sua autocritica. E’ ormai sotto gli occhi di tutti i vedenti che l’ultimo semestre a 5 stelle è stato caratterizzato da una chiusura campanilistica sul nulla certificato. MeetUp che si fronteggiano e scherniscono per ottenere l’ufficialità; dementi opportunisti all’interno degli stessi MeetUp che si azzuffano, si offendono e si diffamano ‘per sembrar lui il più bello’. Nessun progetto, nessuna idea ma solo ideali confusi, ipocriti e reazionari. Finito il tempo degli slogan comincia a venir fuori il magma italiota degli ‘attivisti pentastellati’: chi vuole un’autostrada a pagamento perchè il privato è più efficiente, chi prima er mi fijo e poi i negri, chi confonde un voto di protesta nazionale con una lista civica comunale, chi pensa che ottenendo la certificazione vince le elezioni, chi è la prima volta che sente parlare di spesa a deficit e patto di stabilità e noncurante della sua immensa ignoranza chiede a tutti uno sforzo per studiare (non lui), chi confonde la difesa del territorio e il commercio a km0 con un’etichetta  ologrammata  da scannare con l’I-Phone, chi ancora non ha ben chiara la differenza tra Stato Pontificio e quel che ne era dello Stato Italiano e crede di poter fare interpellanze parlamentari sul decoro architettonico delle cattedrali, chi approfittando della rete spara cazzate a profusione, tanto i click a pagamento, come i soldi spesi per promuoverli, non hanno odore e chi, infine, ‘non me toccate Grillo perché se sparisce lui io ritorno ad essere il nulla che ero’ senza neanche più l’intenzione del volo.

 A tutti voi che pace cercate per far quello che voi volete, un sano, affettuoso, sincero e cordiale

VAFFANCULO!

 12 Novembre 2013  V-Day Preview

(dall’architrave del portale del Duomo di Orvieto i cui dettagli sono ben visibili con i moderni telefonini in uso ai turisti di ultima generazione)

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Da un vuoto di visione all’altro … carpe diem!

chiusoIl discorso inaugurale condotto da chi dovrebbe sostenere la città e non sponsorizzarla a fini devastanti e privatistici mi lascia sgomento. Parole vuote come ‘si intravede la fine del tunnel’ false, ipocrite e fuori luogo come appunto è l’ennesima cattedrale nel deserto. Ancora una volta si utilizza il disastro, tra l’altro scampato per poco, per trasformarlo in opportunismo ed opportunità privata. All’oratore occasionale, che dimentica spesso la funzione istituzionale, ‘non interessa né passato, né presente e né futuro’. Ma del loro ‘ora e adesso’ è inutile parlarne. Cerchiamo di capire cosa è realmente successo e a cosa andremo inevitabilmente incontro.

La Città si è arresa agli eventi e stupra l’ultima possibilità di territorio sostenibile per dar spazio a non-luoghi di aggregazione finalizzati alla celebrazione del prodotto: la periferia delle città abdicherà alle cattedrali del consumo dove si può, teoricamente, passare la vita. Tutto questo sta accadendo anche ad Orvieto. E pensare che fino a qualche decennio fa l’organizzazione degli spazi di consumo era guidato dall’imperativo di rendere più rapido ed efficiente il processo di acquisto, oggi l’obiettivo è un altro: nelle cattedrali del consumo, la prima cosa a dover essere consumata – gratuitamente – è l’esperienza. Per ogni centro commerciale o ‘non luogo di consumo’ (e non è il primo ad Orvieto) le piazze si svuotano, il centro cittadino si riempie di uffici e il resto è abbandonato al degrado urbano. La nostra Città sta perdendo la sua identità a causa della chiusura delle piccole attività e della loro trasformazione in dormitori o garage privati; La causa principale di questo degrado, oltre all’assenza di un’amministrazione capace di programmare, c’è l’abbandono, forzato o meno, dei luoghi tradizionali della vita sociale (il cortile, la piazza e i suoi bar, il mercato, il centro storico). La socialità della nostra cittadina è destinata così ad incanalarsi verso ‘non luoghi’ in cui non si scambieranno esperienze ma dove invece ci troveremo costretti a seguire percorsi predefiniti che portano soltanto al consumo di un prodotto o di un servizio. Non si uscirà più di casa per il gusto di incontrare e conoscere gli altri, per parlare, per discutere, per godere dell’ambiente: in assenza di relazioni sociali soddisfacenti, cercheremo inconsciamente nell’acquisto di una merce un surrogato di queste relazioni. Queste strutture accelerano e rendono irreversibile l’isolamento dell’individuo, a cui non rimarrà che scaricare la sua frustrazione nel consumo eliminando la “distrazione” del vivere sociale!

Come è potuto accadere tutto ciò? Molto è dipeso dalle scelte urbanistiche disattente e non condivise: scelte consapevoli delle amministrazioni e delle imprese e non certo casuali. Non servono grandi teorizzazioni per spiegare questi concetti: basta prendere il caso della nostra città. Anni fa gli orvietani erano abituati a soddisfare i propri bisogni e necessità all’interno dei quartieri in cui risiedevano. Chiunque abbia ancora una vaga idea di queste esperienze sa bene che è inevitabile e piacevole conoscersi e parlare con i negozianti e i vicini di casa; ci sono i tempi e i luoghi per stringere rapporti umani, anche se si sta comprando un chilo di arance o si sta bevendo un caffè. La Città – luogo naturale – creava una rete fatta dall’intersezione di questi rapporti personali: quel tessuto sociale che stiamo distruggendo di giorno in giorno.
Quando una comunità è inserita all’interno di un tessuto sociale è capace di svolgere due funzioni vitali: la solidarietà e l’autoregolamentazione delle tensioni interne. La conoscenza e la fiducia reciproca tra gli abitanti consente, in caso di difficoltà, di attivare quei meccanismi di aiuto e sostegno, perché ognuno sa che verrà ricambiato. I casi di violenza privata e comportamenti dannosi per la collettività avevano dunque naturali ammortizzatori e regolatori. Ora invece è possibile andare ogni giorno all’Ipercoop, o in un qualsiasi altro centro commerciale, senza mai rivolgere parola a nessuno, o senza mai neanche incrociare lo sguardo di un cassiere (sempre di meno e sempre più robotizzati). Questo ci porterà a vivere la nostra Città come un dormitorio non avendo neanche più la possibilità di conoscere chi vive nel portone davanti identificandolo solo come un possibile ostacolo alla fila delle casse automatiche. Da un punto di vista economico e commerciale è abbastanza curioso come i nostri amministratori non abbiano sentito la necessità di evidenziare il fatto che la ricchezza prodotta dal lavoro di chi vive all’interno di un quartiere “vivo” ritorna in parte all’interno del quartiere stesso, grazie alla microeconomia delle botteghe e delle piccole attività, che a loro volta producono occupazione per chi vive in quei luoghi. Alle dirigenze dei grandi Centri Commerciali è normale che non interessi se i quartieri perdono vita e se si annientano comunità di persone che esistevano da decenni. A loro non interessa se aumenta la solitudine, la depressione, la violenza domestica, la tossicodipendenza, il disagio giovanile e tutti quei fenomeni che sorgono quando gli individui non si sentono parte di una collettività. Il loro unico obiettivo è riuscire a strappare il cittadino dal proprio ambiente sociale per trasformarlo in un consumatore a tempo pieno; è per questa ragione che i grandi centri commerciali sono sempre aperti, tutti i giorni e a tutte le ore. Quello che non è normale è l’indifferenza dei nostri amministratori comunali il cui ruolo è quello appunto di preservare e garantire la sostenibilità del tessuto sociale. Purtroppo le grandi catene di distribuzione trovano spesso il benestare delle amministrazioni in queste operazioni, e ancora una volta Orvieto non fa eccezione. Il modello del consumo di massa si deve imporre in tutta la città, e per renderlo appetibile sono necessarie trasformazioni urbane che rendano agevole e quasi naturale l’accesso ai grandi centri commerciali. Distruggere la viabilità, ignorare una sana mobilità, solo per creare un accesso (ad alto impatto) alla Porta di Orvieto è un esempio di scelta urbanistica volta a favorire queste operazioni estremamente lucrative per gli imprenditori, ma tremendamente dannose da un punto di vista sociourbanistico e culturale.
Se ad Orvieto si concederanno ancora nuove autorizzazioni per altri megastore, per sale Bingo o Casinò, bande di ragazzini passeranno le giornate aggirandosi in ‘Non Luoghi’ … Quali stimoli riceveranno dall’ambiente sociale che li circonda?

Spesso quando si vuole giustificare l’insediamento di un grande polo commerciale in un territorio, come in questo caso, si fa leva sulla creazione di posti di lavoro e alle opportunità di “sviluppo”. Ma sappiamo bene che dietro a questo ragionamento si celano numerose falsità, tra l’altro abbastanza evidenti … Poche decine di posti di lavoro precari, con contratti a tempo determinato, con dubbie selezioni e spesso part time non possono certo rappresentare un’opportunità, soprattutto se paragonato ai posti di lavoro persi a causa della chiusura di piccole e medie attività incapaci, loro malgrado, di reggere la concorrenza. Per quanto riguarda il ruolo di motore dello “sviluppo” delle cattedrali di consumo è veramente curioso come imprenditori (affittuari degli spazi) e sindaci non facciano mai ricorso alla semplice logica nei loro discorsi. Non servono infatti lauree in economia per rendersi conto che i centri commerciali non producono ricchezza per un territorio, ma la sottraggono. Spesso la grande distribuzione viene presentata come ancora di salvataggio. In questi anni la nostra città sta attraversando un momento estremamente difficile e delicato: una profonda crisi economica si è abbattuta sui settori produttivi di punta e non ci sono all’orizzonte ipotesi di riconversione credibili e attuabili nell’immediato. Le conseguenze cominciano a farsi sentire pesantemente: disoccupazione, carovita, emergenza abitativa, sicurezza sono problemi all’ordine del giorno.
Questa situazione-tipo è esattamente ciò che cercano le grandi catene di distribuzione: agiscono come delle specie di avvoltoi che mirano a spolpare i territori che per tamponare l’emorragia economica accettano di svendersi sia dal punto di vista delle concessioni e delle scelte urbanistiche che dal punto di vista dei diritti dei lavoratori. Questi ultimi sono sottoposti a condizioni dure ed umilianti: straordinari, festivi obbligatori, orari che mutano ogni giorno, ferie non concordate sono la normalità. Il personale, molte volte di giovane età e senza qualifiche, viene assunto con contratti atipici e a tempo determinato, e le buste paga sono estremamente basse. In questo momento in Italia i grandi magazzini sono i luoghi di lavoro in cui la precarietà è maggiore. Da tutti questi elementi è facile capire che i (pochi) posti di lavoro che crea l’insediamento di un centro commerciale non sono per la propria natura in grado di soddisfare le esigenze di stabilità di un individuo o, meno che mai, di una famiglia.
Sarebbe interessante sapere dal Sindaco se questi temi sono stati affrontati durante le loro ‘serie ed approfondite discussioni‘ e quali “strategie di sviluppo” stanno dietro a queste scelte. A noi sembrano insensate. Ma forse un senso per loro ce l’hanno: arraffare tutto ciò che resta prima che crolli baracca e burattini…

(massimo maggi)

AD ORVIETO IL PATTO DI COMUNANZA POPOLARE .

pattoDi Patti, nel corso dei secoli, se ne sono succeduti a bizzeffe. Quando gli uomini, di fronte alle emergenze della storia perdono gli orientamenti, trovano utile e conveniente rivolgersi a delle intese tra di loro finalizzate al salvataggio, più o meno morale o più o meno strumentale, di realtà obiettivamente sull’orlo della catastrofe ma, delle quali, è opportuno se non necessario ricercarne la soluzione, possibilmente fino a raggiungerla.

E così, a cadenze quasi cicliche, si sente vociferare di patti etici, spesso bistrattati e a volte anche rigettati come fossero carta straccia; di patti per le civili abitazioni con fluttuazioni rivolte, non tanto a sani investimenti in mattoni e cemento, quanto piuttosto a scellerate speculazioni edilizie; di patti per la salute pubblica nel cui contenuto, però, non si ravvisa molto a sostanziale salvaguardia del benessere psico-fisico dei cittadini se non, disgraziatamente, generiche dichiarazioni di soli buoni propositi.
Di questo passo e così via dicendo, se ne potrebbero elencare una lunghissima serie; ciò che però non funziona nelle pattuizioni risiede nel fatto che, troppo frequentemente, ci si dimentica del principio essenziale che sta al fondamento del patto medesimo, inteso come forma ordinamentale, e che è ben riassunto nell’antico adagio, espresso con l’uso della perifrastica passiva, contenendo in sé il senso del dovere: “Pacta Servanda Sunt”.
Non credo infatti di proferire qualcosa di non vero se affermo, con decisione, che è molto facile ed agevole stipulare dei patti mentre, invece, è ben più arduo e impegnativo il saperli, poi, rispettare.
All’inizio del decennio in corso, in Città si aprì e tenne banco il dibattito su un provvidenziale accordo, tra le forze politiche rappresentate in Consiglio Comunale, per un tentativo estremo di uscita a testa alta dalle secche della paralisi amministrativa e contabile.
Chiunque possieda una dose, seppur minima, di buon senso e di cognizione delle pubbliche responsabilità non può, almeno nei suoi tratti elementari, sottrarsi dal riflettere su siffatta prospettiva in virtù dell’obbligo morale e giuridico che, quando la nave sembra essere in procinto di affondare, a nessuno dell’equipaggio è consentito di abbandonarla e, tanto meno, al suo capitano.
Ma, per evitare il naufragio e riportarla in condizioni di sicuro galleggiamento, alcuni rischi con possibili fallimenti bisogna pur correrli, anche se calcolati e ben distribuiti tra le forze in campo.
Il primo rischio, con annesso fallimento, è stato in capo al Sindaco in carica poiché non è riuscito ad amalgamare, facendola ben funzionare, l’iniziale coalizione di centrodestra che lo ha appoggiato e sostenuto e, ciò, in quanto quest’ultima ha fornito, nel tempo, evidenti segni di inadeguatezza e sfilacciamento proprio sul terreno della sua tenuta istituzionale, nonostante l’apporto seppur solo numerico e quantitativo di transfughi trasformisti, a tutti noti, e dato che la qualità politica ha tutt’altra dimensione. E, infatti, tale precaria condizione ha comportato il rovescio della programmazione e della realizzazione delle linee di indirizzo del governo del Sindaco per la Città poiché, in tutta franchezza, quanto programmato e realizzato fino ad oggi è palesemente deludente e molto al di sotto delle aspettative generali e di quanto promesso durante le fasi della campagna elettorale.
Il secondo rischio, anch’esso fallimentare, lo ha corso, e lo corre tuttora, la minoranza di centrosinistra in virtù del fatto che la sin qui praticata “politica della blanda opposizione” ha rivestito ed assunto i connotati del respiro corto per tutto l’arco della consiliatura e, conseguentemente, ha prodotto il vanificarsi del suo ruolo di controllo, di pungolo e di stimolo costruttivo per l’azione di governo del Sindaco e perché il lasciar correre , sempre e comunque, si è ammantato a lungo andare del sapore incomprensibile ed inaccettabile del disimpegno, dell’indifferenza e dell’assenza sia politica che etica.
Al contrario, le forze politiche minoritarie avrebbero dovuto accollarsi l’onere di esercitare una costante e robusta spinta propulsiva sul piano delle iniziative di innovazione progettuale e non, come invece è accaduto, abdicare o scendere a livelli di subalternità, di utilitaristico collaborazionismo o di solo comprimariato.
E’di tutta evidenza, a questo punto del ragionamento, che il rischio di maggiore elevazione in grado, accompagnato da danni ancora incalcolabili, è ricaduto sulla testa della collettività orvietana poiché, essendo rimasta senza guida stabile e sicura degli approdi a cui ancorarsi, ha subito il drammatico destino dell’essere stata in balia di accidenti fuori controllo e, dunque, ingovernati in quanto ingovernabili.
Si vuol proseguire imperterriti su codesta strada?. Consiglierei proprio di NO!.
E allora non resta altra possibilità se non volgere lo sguardo altrove e rifiutare l’ascolto, in via definitiva, del canto sì melodioso, ma ingannevole, dei partiti nazional-tradizionali, quali principalmente PD e PDL-FI, armeggioni e intrighisti.
Volgere lo sguardo altrove vuol significare l’adesione civica al “ Patto “ di comunanza popolare, così definito perché proveniente dal popolo, intriso della sostanza del popolo, marciante ed avanzante assieme al popolo, volto esclusivamente al Bene del popolo.
“Dal Popolo, del Popolo, con il Popolo, per il Popolo” !.
Dei suoi contenuti, i mesi a venire ne saranno fedeli testimoni.

Orvieto 10/11/2013 Mario Tiberi

Il Bilancio come guida ad un Nuovo Modello Comunale

4-Assemblea-Civica-in-Orvieto.-Intervento-di-Mario-Tiberi.-150x150Nel nostro percorso abbiamo  affrontato vari temi. Inizialmente siamo partiti dagli squilibri o dalle nefandezze di bilancio, mettendo in luce le grandi responsabilità che hanno avuto le amministrazioni attuali e passate. Andando avanti lungo questa strada ci siamo occupati del tema del debito di cui siamo vittime incolpevoli ed inconsapevoli che sta impoverendo e svuotando la città delle sue risorse e capitali reali. La globalizzazione in questo ci entra poco ma è stata la leva ipocrita, usata dagli amministratori, che ha provocato l’attuale gestione del debito pubblico, tutta orientata soltanto a soddisfare le richieste dei creditori. Giunti a questo punto dobbiamo ribaltare il paradigma con consapevolezza e assunzione di responsabilità per evitare, così, tutta una serie di catastrofi che sono di fronte a noi. Dobbiamo farlo con un Patto Cittadino che pur vedendoci coinvolti ciascuno su tematiche e bisogni diversi ci accomuni in un unico progetto finalizzato a costruire una città più giusta, più sostenibile e più equa. Trovare una sintesi tra un commercio equo, una  finanza etica ed un reddito di cittadinanza. Inseguire di volta in volta la singola emergenza o il singolo caso di mala gestione non porta a nulla se non ad un dispendio enorme di energie mentre è necessario analizzare il sistema nel suo insieme, capire che purtroppo all’interno dei suoi meccanismi non troviamo più la soluzione ai gravissimi problemi sociali e ambientali che abbiamo di fronte a noi e, quindi, occorre fare uno sforzo di visione di un’altra società.

Il Bilancio Comunale è il primo strumento il cui paradigma deve essere necessariamente ribaltato: Non è il Bilancio a decidere le sorti della nostra comunità ma l’esatto opposto. La comunità deve esercitare tutto il suo potenziale inutilizzato e condiviso per poi verificare, tramite un Bilancio, che siano state rispettate le condizioni di equità e sostenibilità sociale ed ambientale. E’ necessario iniziare a sfatare alcuni luoghi comuni come ad esempio che noi siamo indebitati perché siamo un popolo che ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità. Se non viene sfatato, questo luogo comune, ne fa scaturire un altro ben più pesante  e cioè che non abbiamo nessun altro obbligo se non quello di pagare e che i sacrifici che ci sono imposti sono la giusta punizione per i reati commessi.

In questa aberrante, falsa, situazione ognuno di  noi è portato ad arrendersi di fronte alle politiche di austerità che ci vengono imposte dai Bilanci e dalle amministrazioni cittadine prima che nazionali ed europee. La verità è un’altra e cioè che, nel corso del tempo, abbiamo dovuto pagare una montagna di interessi così alti che, questi sì, non siamo riusciti a pagare nonostante che in vent’anni abbiamo tagliato ogni possibilità di sviluppo spacciandola per razionalizzazione della spesa. Continuare nella politica dell’austerity e del patto di stabilità non potrà che peggiorare la situazione che di anno in anno diventa sempre più oscura nonostante la svendita sconsiderata di importanti assetti e patrimoni.

Per ogni debitore c’è sempre un ceditore. Cominciamo a fare luce e chiarezza su questi soggetti. E’ necessario un Patto che congeli il debito per poi ristrutturarlo non solo a livello ragionieristico ma con un vero e proprio Audit per verificare quali sono state le ragioni dell’indebitamento. Scoprirne non solo le cause come i privilegi fiscali o la corruzione ma soprattutto le responsabilità da parte di investitori e amministrazioni compiacenti. Scopriremo con questo che un debitore non sempre è obbligato a pagare il suo debito, soprattutto se innescato da anatocismo, e procedere, anche per legge, alla sua sospensione verificando queste situazioni mettendo in evidenza quali sono le quote di debito che si sono create per delle iniziative che non hanno niente a che vedere con il bene collettivo.

Alcuni spunti e proposte per la discussione

Rendere trasparente e virtuosa l’amministrazione di comuni e regione non significa “tagliare” semplicemente costi della politica, dei servizi, e tanto meno tagliare posti di lavoro, ma razionalizzarli e ricollocarli secondo un piano preciso di efficienza, redistribuzione degli oneri  e delle ricchezze. Il tutto connesso ad una reinvenzione del rapporto compatibile con la natura e ad una nuova forma degli strumenti di partecipazione diretta dei cittadini alla gestione del loro territorio e della cosa pubblica. Siamo dunque per fermare il carrozzone delle municipalizzate partecipate o privatizzate, dei consorzi gestiti da burocrazia politica ed imprenditoria che non hanno altro obiettivo che l’arricchimento privato ed il mantenimento delle caste burocratiche entro una prospettiva di sviluppo indifferente ad ogni altro principio che quello della valorizzazione economica, per altro fallimentare.

La democrazia rappresentativa ha di fatto estromesso dal processo decisionale i cittadini. Riteniamo quindi sia necessario avviare processi deliberativi popolari, per guidare gli amministratori nel prendere decisioni mirate e non influenzabili da interessi privati. Si tratta di norme di elementare democrazia, idonee per introdurre equità e giustizia sociale e consentire ai cittadini di decidere, dove e come destinare risorse della comunità.

Una componente importante della felicità delle comunità passa attraverso la partecipazione popolare diretta.

La partecipazione non filtrata dal potere, consente infatti di concorrere concretamente alla gestione della cosa pubblica, aumentando il senso di consapevolezza dei cittadini, anche attraverso percorsi formativi di educazione civica. In ambito locale le norme (art. 8 supplemento ordinario N.162 del D.Lgs. 267 del 18 agosto 2000) prevedono l’introduzione di strumenti di democrazia diretta, ma raramente gli Statuti degli Enti locali sono stati aggiornati e spesso gli amministratori scoraggiano la partecipazione popolare.

Le nostre prime proposte saranno quindi quelle di:

– modi­care lo Statuto Comunale e gli strumenti d’iniziativa popolare. Referendum deliberativo propositivo senza quorum e il bilancio partecipativo deliberativo. Entrambi gli strumenti non saranno consultivi, ma vincolanti per l’Amministrazione Comunale;

– l’iniziativa referendaria, analogamente alle altre iniziative, comporterà la raccolta firme, ma non il quorum di validità: il quorum scoraggia la democrazia e contraddice il principio democratico per il quale “chi partecipa decide”.

In date prestabilite i cittadini proporranno, discuteranno e sceglieranno col voto le proposte emerse (priorità). Una volta raccolte le idee più votate una delegazione popolare, insieme ad un Ufficio del Gabinetto del Sindaco, valuterà l’introduzione delle priorità emerse dal basso e le introdurrà nel piano dei lavori pubblici e dei servizi. La delegazione popolare avrà il compito di controllare il processo, avrà accesso a tutti gli atti e riferirà l’andamento dei lavori, nelle assemblee popolari.

Dovrà essere data ai cittadini la possibilità di proporre una delibera redatta correttamente in articoli e votarla. Dovrà essere data la possibilità ai cittadini di individuare delle priorità, che saranno inserite nel piano triennale dei lavori pubblici. Sarà prioritario Introdurre un Ufficio della Trasparenza, ove il cittadino possa accedere a qualsiasi documento e ne possa avere copia.

–  Istituzionalizzare gli incontri di ascolto dei cittadini col ­fine di stimolare la partecipazione dal basso e raccogliere le proposte popolari per farne argomento di discussione anche nei Consigli Comunali;

– Trasmettere, con qualsiasi mezzo, la diretta streaming non solo dei Consigli Comunali, ma di tutti gli incontri delle commissioni, con possibilità da parte dei consiglieri e del pubblico di registrare e trasmettere proprie riprese;

– Disporre di un notiziario/newsletter di zona che permetta ai cittadini interessati di essere avvisati per tempo, delle attività comunali e delle discussioni in corso che riguardano la specifica zona in cui abitano, vivono, lavorano;

– Creazione di un registro on-line in cui vengono raccolte le istanze (tutte) inviate alla pubblica amministrazione e dove si possono consultare le risposte ricevute;

– Rendere le società pubbliche e private che gestiscono servizi essenziali per il cittadino (energia, acqua ) aperte e controllate tramite forme di azionariato diffuso.

L’attuale bilancio dei comuni presenta spesso un debito molto rilevante, di cui parte riscontrato all’interno delle società partecipate. Questo debito è il frutto di una politica che mentre strombazzava “Città dell’eccellenza” ha creato “Città dormitorio”. Se da una parte sarà facile evitare le spese sciagurate per opere ed infrastrutture inutili e dispendiose, dall’altra si dovrà programmare un arco temporale durante il quale destinare parte delle entrate al ripianamento del debito, vincolando l’operato del comune e sottraendo risorse alla gestione “ordinaria”. Gli obiettivi, su arco temporale con scadenze intermedie con verifica dei risultati ottenuti con gli obiettivi prefissati, dovranno essere condivisi non solo con la minoranza politica, ma anche con la cittadinanza tutta. Per noi le parole chiave sono Trasparenza e Partecipazione. Parole che non devono rimanere svuotate del loro significato ma essere associate a fatti concreti. Pubblicazione di ogni atto di spesa, e Bilancio Partecipato. Le aziende partecipate sono state spesso usate come strumento per aggirare il patto di stabilità, e by-passare le gare di appalto favorendo aziende “vicine” all’amministrazione. Essendo società di diritto privato, anche se di proprietà pubblica, nella ricerca delle informazioni, spesso ci si è trovati davanti ad un muro invalicabile. L’approvazione dei bilanci di queste società viene normalmente fatta a consuntivo, ovvero alla fine dell’esercizio, mentre il bilancio comunale viene approvato in preventivo – o quanto meno dovrebbe. Questo sfasamento temporale rende difficilissimo prevedere e gestire “le casse” comunali. In più i differenti piani dei conti non aiutano l’accorpamento e l’immediatezza dell’informazione. Tutto ciò ricade nella trasparenza dell’amministrazione pubblica, e nella sua gestione. Ci ritroviamo con differenti istituti privati e differenti livelli di partecipazione (regionale e provinciale) con le medesime finalità. Insomma usare il termine “giungla delle partecipate” non è affatto fuori luogo.

In fase di approvazione del bilancio si dovrà invece deliberare che una parte degli investimenti siano messi a disposizione dei cittadini, che potranno svolgere azioni propositive e deliberative con le modalità già utilizzate in altri comuni virtuosi. Questo è solo l’inizio, poi gradualmente questa percentuale salirà insieme al grado di partecipazione dei cittadini.

Inoltre: Riduzione delle consulenze esterne. Riduzione delle figure dirigenziali e delle Posizioni Organizzative. Riorganizzazione della macchina comunale attraverso un nuova politica di gestione dei processi e del personale. Avviare un’analisi organizzativa approfondita, con lo snellimento delle procedure e della rigidità dell’attuale organizzazione. La macchina comunale deve essere al servizio del cittadino, e non il contrario. Tracciabilità di tutti i passaggi burocratici e messa on-line della stessa da parte del responsabile unico del procedimento. All’interno della macchina comunale verranno attivati progetti ottenuti grazie all’ascolto dei dipendenti comunali volti alla riduzione degli sprechi e al miglioramento della qualità dei servizi erogati ai cittadini puntando esclusivamente alla valorizzazione delle risorse umane attraverso investimenti sulla formazione del personale. Eliminazione dei contratti (anche per le società partecipate) di locazione passiva in scadenza e divieto di stipulazione di nuovi contratti su immobili di proprietà privata. Divieto dell’uso di nuovi strumenti derivati e di ogni forma di speculazione finanziaria, eliminazione progressiva degli strumenti già sottoscritti. Elevare al massimo l’Imposta municipale Unica (IMU) a tutti gli immobili non prima casa, privi di un contratto di locazione registrato o disabitati (con esclusione degli immobili disponibili ad affitto equo o utilizzati da familiari impossibilitati ad accedere a mutui casa o ad edilizia popolarre) e comunque seguendo un criterio di equità ed utilizzo dell’immobile. Stessa regola verrà applicata per gli edifici commerciali o uffici non attivi. La maggiore disponibilità di immobili in affitto comporterebbe un abbassamento del costo di locazione. Gli affitti in nero che passerebbero a contratti regolari comporterebbero inoltre un rientro dal nero per l’erario. Effettiva responsabilizzazione dei dirigenti e dei responsabili di attività dell’Amministrazione con piano degli obiettivi valutato in termini di efficienza ed efficacia delle prestazioni da una funzione esterna e non dai dirigenti stessi come oggi avviene. Pubblicazione di un bilancio leggibile da chiunque per il consuntivo e di un bilancio di previsione triennale con indicazione dei diversi capitoli di spesa in dettaglio, distinzione tra spese e investimenti, dettaglio sulle spese per servizi dall’esterno e sulle entrate evidenziando trasferimenti dello stato, tasse e oneri locali, denari provenienti a vario titolo da privati con dettaglio dei maggiori contribuenti. Pubblicazione sui siti web dei Comuni dell’elenco di tutte le forniture di prodotti e servizi all’Amministrazione con i relativi contratti e fornitori.

RIORGANIZZAZIONE DELLE PARTECIPATE

Costituire una unica Holding che raggruppi, ove possibile, tutte queste partecipate sotto un’unica regia. Il Cda di questa Holding deve essere formato da persone che vi lavorino a tempo pieno. Tutte le società partecipate avranno un massimo di tre amministratori che saranno costantemente controllati. Alla Holding verranno affidati i servizi amministrativi dell’intero gruppo. Ogni sei mesi il presidente del cda della Holding, riferirà in Consiglio Comunale sull’andamento di tutto il gruppo e segnalerà le eventuali negligenze degli amministratori. Questo comporterà una sensibile diminuzione dei costi e l’individuazione immediata delle responsabilità. Finirà l’era dei poltronifici.
Il compenso di ogni amministratore dovrà essere reso pubblico in un apposito sito comunale, entro 30 gg dalla sua nomina. Chi vorrà ricoprire il ruolo di amministratore dovrà inviare il proprio cv che sarà pubblicato on-line. I piani dei conti di tutte le partecipate dovranno essere uniformati, o stabiliti in modo rigido nelle loro riclassificazioni. Questo permetterà di realizzare in brevissimo tempo un Bilancio unico consolidato tra le Società Partecipate ed il Bilancio Comunale.